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Dalla fine di aprile 2020, un'invasione di locuste sta colpendo la valle del fiume Tirso, nella Sardegna centrale. Gli insetti, comunemente noti come locuste del Marocco, hanno devastato orti, campi, praterie e invaso case e giardini, interessando una superficie di circa 25.000 ettari. Le locuste erano già apparse l'estate scorsa nella stessa zona, ma l'entità dei danni è decuplicata in un solo anno. Una perdita inimmaginabile per le comunità locali: in media, il 60% delle colture è stato devastato.

Questo non è però un fenomeno nuovo nell'isola. Le invasioni di questo parassita si sono succedute nei secoli, costringendo la popolazione locale a utilizzare - soprattutto nella prima metà del secolo scorso - ogni mezzo per combatterle: dall'arsenico ai lanciafiamme, fino alle preghiere rivolte a San Narciso, patrono dei contadini e dei pastori. Dagli anni Quaranta le invasioni si sono gradualmente affievolite grazie soprattutto alla meccanizzazione agricola: l'aumento dei terreni coltivati significava meno spazio per la proliferazione delle locuste, che depongono le uova nel terreno e che necessitano di essere indisturbate per il loro periodo di incubazione per riprodursi.

Negli ultimi anni, però, l'aumento delle temperature, l'andamento climatico e il progressivo spopolamento delle campagne interne hanno invertito la tendenza. Le condizioni climatiche particolarmente secche e altalenanti degli ultimi anni sono state fattori predisponenti che hanno favorito questo fenomeno.   

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